«E’ il patto di stabilità che non permette alla Regione di sbloccare i fondi necessari per l’Università della Valle d’Aosta»: Teresa Grange, preside della facoltà di scienze della formazione dell’ateneo valdostano, spiega così quelli che sarebbero secondo lei i motivi principali dell’attuale difficoltà dell’UniVdA. «A questo concorre anche la riforma Gelmini, che ha aumentato il numero di docenti necessari per ogni polo universitario». La docente è intervenuta, sabato 12 dicembre, al congresso dei Verdi all’Espace Populaire, nel dibattito “Luci ed ombre dell’amministrazione locale“, che ha visto partecipare membri della società civile su svariati argomenti.
Dalle responsabilità delle politiche nazionali, che restringono il campo di azione, ci sarebbero anche quelle locali nel gestire la situazione, a cominciare dalla mancanza di un serio progetto di ricerca: «L’Università serve proprio ad insegnare il frutto della ricerca – spiega la Grange – motivo per cui, prima di cominciare ad aprire delle facoltà, bisognava chiedersi quale ricerca si intendeva e conveniva fare sul luogo».
L’UniVdA nella morsa degli interessi degli altri atenei?
Un altro errore, la preside lo imputa ad Ennio Pastoret, che ha coordinato la nascita del polo, affidandolo ad un rettore bocconiano, Emanuele Maria Carluccio: «Bisognava difendersi dalle grandi Università – prosegue la Grange – soprattutto da quelle private come Bocconi e Cattolica, che per la loro stessa natura sono attirate da centri piccoli e pieni di denaro come era il nostro. Sarebbe stato meglio affidarsi a persone più in grado di comprendere la realtà valdostana. Ogni rettore che è stato nominato in questi anni si è semplicemente limitato a sviluppare quello che già sviluppava nella sua sede di provenienza, anche con un certo spirito di “civilisation des sauvages”, senza curarsi del milieu in cui si trovava. Da questo sistema distorto nasce la facoltà di psicologia, voluta per il solo interesse dell’università di Padova».
Se fino ad ora si è sbagliato molto, secondo la docente è giusto comunque sperare nel prossimo futuro: anche se con le risorse disponibili rimaste non si riuscirà ad andare oltre i 2000 studenti iscritti e si avranno serie difficoltà a sviluppare le lauree specialistiche, che dovrebbero completare il percorso di studi. Come del resto è successo fino ad oggi.
In merito all’articolo del 16 dicembre 2009 intitolato “Teresa Grange: Psicologia all’UniVdA? Aperta per fare un favore a Padova” desidero portare alcune precisazioni e rettifiche, per chiarezza e completezza d’informazione.
Nel confermare la mia posizione critica rispetto alle scelte di sviluppo dell’ateneo valdostano nel corso degli anni, che hanno risentito, a mio parere, di una frammentazione e una variabilità nel tempo di interessi politici e accademici che hanno reso difficile una progettualità coerente che portasse l’Università della Valle d’Aosta a divenire un centro di ricerca europeo, un’istituzione capace di produrre ricerca di punta in quei settori il cui valore strategico nasce dalle specificità (culturali, linguistiche, ambientali, socioeconomiche) del territorio, segnalo, con spirito costruttivo e al solo fine di assicurare la massima aderenza del dibattito al punto di vista espresso, che alcune frasi riportate tra virgolette non corrispondono al mio pensiero.
Mi limito dunque a rettificare i riferimenti virgolettati, a cominciare dal titolo: l’istituzione della facoltà di psicologia è stata una scelta discutibile (a mio avviso) sia dal punto di vista politico sia dalla prospettiva accademica; è tuttavia fuorviante, in quanto porta a confondere la causa con l’effetto, riassumere il processo che ha condotto alla sua nascita come “un favore a Padova”. In seguito, riguardo alla frase “Ogni rettore che è stato nominato in questi anni si è semplicemente limitato a sviluppare ciò che già sviluppava nella sua sede di provenienza”, considerato che la storia della giovane UniVdA conta due rettori, nell’ordine: Emanuele Maria Carluccio e Pietro Passerin d’Entrèves, e che l’attuale Rettore proviene dalla Facoltà di Scienze dell’Università di Torino, è evidente che nessuno “sviluppo” dell’area scientifica di appartenenza è presente nell’ateneo aostano né peraltro è verosimile una non conoscenza del milieu, considerato che il prof. Passerin è valdostano. Il mio personale parere circa una sensibilità verso la realtà locale poco adeguata, sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista delle potenzialità di sviluppo dell’università in relazione al territorio, riguardava esclusivamente il primo Rettore.
Poiché l’analisi da me proposta rispetto alle criticità del nostro ateneo era focalizzata sulla necessità di elaborare un progetto di università incentrato sulla ricerca di eccellenza in ambiti significativi e caratteristici del territorio valdostano, capaci di giustificare ma soprattutto di valorizzare la presenza di un polo universitario autonomo in questa Regione, segnalo infine che la conclusione del mio intervento ha sottolineato l’importanza di tener desta l’attenzione e viva la partecipazione nelle attuali sedi di dibattito che rappresentano una preziosa occasione di raccordo e di rilancio per lo sviluppo dell’Università: il neocostituito Tavolo Università – Territorio e il progetto di campus universitario nell’ex caserma Testafochi. Si tratta cioè di concentrare gli sforzi dove è possibile intervenire concretamente, al di là dei vincoli imposti dalle disposizioni nazionali in materia di Università. Le potenzialità sono enormi, le condizioni sono attualmente difficili, ma la possibilità di operare per dare valore all’ateneo locale è aperta. Al corpo accademico, agli amministratori dell’Università, ai politici, alla società civile valdostana, il compito di coglierla.
Chiedo scusa se rispondo solo ora, ma sono stato via. La ringrazio per le precisazioni, sono certo che abbiano aiutato a dare una visione più completa del suo discorso.