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Anche dietro alle mucche c’è l’economia

di in agricoltura, economia, Vanity Foire il 28 novembre 2009 alle 08:00
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Mucche ad Excenex (foto Daniele Sartori - da Flickr)Dice l’economista che contributi o tasse pari sono: tu sei lì, dubbioso, e pensi al portafoglio.
Ma come!? Il contributo entra, mi riempie le tasche e mi permette di rimettere in sesto i conti della mia azienda. La tassa esce, mi sgonfia il borsello e il conto in banca, e mi manda in bolletta: sono già con l’acqua alla gola, lo Stato vuole anche il mio sangue? No, ‘sti economisti, non capiscono un tubo. E poi non erano manco riusciti a prevedere la crisi globale.

Il crollo di un sistema e le esternalità
E invece no, per un sistema economico imporre una tassa o stanziare un contributo porta allo stesso risultato: la parola magica, che ripiana entrate e uscite, è esternalità. Tutto questo ragionamento viene in mente a seguito di vaccopoli, ed è supportato da ciò che sta succedendo in questi giorni di smarrimento dei consumatori – tradotto in calo dei consumi – e di incertezze di un sistema produttivo.

Un circolo vizioso, poi il crac
Il sistema dei contributi ha fallito: fino a qualche anno fa, la Regione pagava il valore di ogni capo malato, e i capi erano tutti infetti; oggi l’ente pubblico non paga se una stalla è infetta, e improvvisamente tutti sono puliti.
Il sistema, marcio o no lo deciderà la magistratura, è sicuramente andato in tilt. L’inchiesta in corso lo ha minato ai vertici – recenti le dimissioni di Gabriele Viérin, ex presidente dell’AREV e indagato; in bilico anche il direttore della stessa associazione e i vertici dell’Anaborava, l’ente che si occupa dell’albero genealogico e della tutela della razza bovina valdostana – e la base ne ha risentito in termini di immagine, di calo di vendite, di perdita di fiducia: tutte esternalità negative, costi che il sistema deve sopportare. Guardacaso, grossomodo lo stesso valore dei contributi erogati al sistema stesso, direbbero gli economisti.

Salviamo la montagna
Sono esternalità negative, però, anche i costi che il collasso del sistema agricolo montano, soprattutto in una regione turistica e ad altissimo rischio idrogeologico come la Valle d’Aosta, subirebbe senza il sostegno pubblico, determinante per la sopravvivenza di un fitto tessuto di piccole e piccolissime aziende zootecniche che svolgono un ruolo di mantenimento del territorio, di popolamento della montagna e di manutenzione dell’ambiente rurale fondamentale per tutti. Anche per i cittadini che se ne stanno a valle, al calduccio nelle loro case, e che storgono il naso quando vedono – o annusano – un po’ di letame.

Tassare gli allevamenti? Le produzioni?
L’idea di introdurre un’imposta, cosiddetta pigoviana, sull’allevamento o sulla produzione sarebbe un suicidio: il sistema dei contributi in questo caso è inevitabile, per una serie di motivazioni anche economiche che non serve spiegare.
Come eliminare il più possibile le esternalità? L’unico sistema è quello di aumentare e rendere più seri i controlli della filiera, lasciando libertà ai controllori, mani libere a chi conduce le indagini, evitando che controllore e controllato siano la stessa persona o si conoscano troppo bene.
Ne va in gioco il futuro di tutta la Valle, e anzi, della montagna: senza l’agricoltura in montagna, in pianura saremmo tutti morti.

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  1. Un finale un tantino apocalittico…
    Assolutamente d’accordo che controlli più seri e rigorosi, differenza tra controllore e controllato (non sarebbe nemmeno da scrivere tant’è ovvio… ma sembra, invece, che ce ne sia bisogno eccome)… ma se il peso fiscale è troppo elevato, non si combina più nulla. Dubito che i coinvolti in questo teatrino abbiano deciso di frodare Stato, Regione, sanità eccetera per intascare qualche migliaio di euro in più… secondo me gran parte della colpa è data dal fatto che a fine mese non resta nulla in tasca e bisogna pagare tasse, balzelli, stipendi, tasse sulle tasse e via discorrendo all’infinito…

    Servirebbe una riorganizzazione di tutto il sistema… a partire dalla Valle d’Aosta con gli incentivi e la tassazione… per passare all’Italia delle quote latte… per approdare ad un’Unione Europea capace di stanziare enormi cifre ma incapace di controllarne l’utilizzo (non perché l’UE sia incapace di suo… ma perché demanda il controllo allo Stato e il risultato lo si sa…) e per giungere, infine, al mondo nella sua interezza con la sua economia virtuale che crea disordine nel portafoglio reale e alla concorrenza a basso costo proveniente soprattutto dall’oriente (vogliamo ricordare che la Fontina oramai la producono fisicamente più i marocchini che i valdostani?)

    La situazione mi sembra un tantino fuori portata. La soluzione, a mio avviso, è solo bilanciare i tributi e le tasse, effettuando controlli più rigorosi ma che non siano strozzanti per chi produce… e soprattutto affidare la direzione di ogni cosa a persone capaci e non politicanti con tanti amici altolocati… che forse è la prima causa dei mali di chez nous…

    Saluti
    -JeKo-

  2. Finale apocalittico? No, provocatorio.

    L’equilibrio antropico della montagna è tale da più di un migliaio di anni, e le aree agricole e pastorali attuali sono una regressione (superata di gran lunga la fase dell’abbandono delle aree marginali, oggi siamo tra l’abbandono delle coltivazioni e la definitiva scomparsa dell’agricoltura alpina: manca poco perché sia tale, e l’invecchiamento della popolazione lascia pensare sia questione di 20-25 anni) della situazione che era stabile, a spanne, dal XV secolo agli anni ’70 del secolo scorso.
    Non è un discorso egoistico, semplicemente perché non ne risente solo l’uomo: ne risente la biodiversità. Tralasciamo i campi coltivati, ormai quasi inesistenti oltre i 500-600 metri di quota… Prati “grassi”, pascoli e boschi sono radicalmente differenti da quelli di 30 anni fa, non svolgono più il ruolo fondamentale nell’equilibrio idrogeologico, sono molto più soggetti ad incendi, smottamenti, valanghe. Abbiamo volpi e cinghiali alle porte delle città, tassi e piccoli animali fanno razzia nelle poche aree coltivate a frutta o vite. I boschi non sono più sfruttati e sono ormai non sfruttabili. Le aree in cui l’agricoltura permane sono soggette ad uno sfruttamento intensivo e all’erosione dei suoli.

    Dobbiamo pensare all’evoluzione di questi aspetti, perché il punto di rottura è un futuro più vicino di quanto si pensi.
    E in tutto questo non ho parlato di turismo…

  3. Ciao, abito nei pressi di Caravaggio (Bg), zona pianeggiante ove i terreni vengono coltivati ricevendo finanziamenti cee a patto che si utilizzino semi ogm che necessitano di diserbo per germogliare.
    I genitori, presi già dalla crisi ed abituati a dover lavorare entrambi, non riescono a capire il proliferare di intolleranze alimentari legate specialmente al latte vaccino di mucca.
    Anche qui le aziende farmaceutiche hanno preso il controllo in un ambito che non dovrebbe minimamente riguardare loro!
    Qualcosa si sta muovendo, un mio personale pensiero è di creare realtà ove si possa garantire il vero necessario alle famiglie ed i singoli. In questo mondo che sembra sempre piu una sorta di matrix cioè una realtà dove veniamo convinti di aver bisogni che in realtà sono futili, l’operaio medio non riesce più a fare risparmio
    come hanno potuto fare i nostri “vecchi”. Per cui, una volta che ad una famiglia vengono garantiti i beni primari, non servirà garantire anche un lauto stipendio; in parole povere, prendere i beni confiscati alle mafie, applicare tecnologie per produzione energia, restaurare secondo antica edilizia ed applicare agricoltura biologica e biodinamica con semenze antiche e sapori oramai quasi estinti… qui siamo arrivati al punto che quella pochissima carne che consumo incrocio le dita e spero ci siano meno antibiotici e coloranti possibili… essendo di origini contadine (alto Molise) i sapori veri me li ricordo! L’economia e la finanza li hanno trasformati in prodotti di nicchia… accidenti, non è solo una questione di sapori! Siamo veramente ciò che mangiamo…